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Scrivici |Le corvette della classe Gabbiano
- Tardiva apparizione, breve successo ma lunga durata -
Corvetta della classe Gabbiano nella configurazione originaria. Nel disegno non è applicata la prima mimetizzazione a zone e la sigla di riconoscimento.
Ringraziamo Sebastian Nastasi per il contributo gentilmente fornito.
Navi specifiche e versatili assieme
Nel corso del Secondo Conflitto Mondiale in Mediterraneo si erano chiarite le reali condizioni operative e le esigenze della scorta convogli. Erano necessarie in gran numero piccole unità di modesta velocità che fossero in grado di fronteggiare la minaccia sottomarina e l’attacco aereo, rivelatisi sempre più frequenti ed impegnativi. In mancanza di navi specifiche si erano dovute impiegare torpediniere e cacciatorpediniere, caratterizzate da maggiori dimensioni, velocità, artiglierie e siluri: caratteristiche utili, ad esempio nell’attività di squadra (assieme alle veloci unità da guerra) e negli scontri tra unità similari, ma spesso scarsamente utili o ridondanti nella scorta mercantili. Per le navi impiegate in ruoli diversi dalla loro destinazione si sarebbe sentita la scarsità per logorio e perdite, con difficoltà a produrne altre. Nel 1941 venivano quindi progettate delle unità più piccole e specializzate, da fabbricare in serie, anche a sei per volta sullo stesso scalo, che si sarebbero rivelate particolarmente riuscite. Vennero ordinate a vari cantieri nazionali e la prima, la corvetta Gabbiano, divenne operativa nell’ottobre 1942. Purtroppo delle 60 che vennero ordinate, solo 28 entrarono in servizio negli ultimi dodici mesi di guerra prima dell’armistizio. Oltretutto vennero realizzate in un momento difficile per la reperibilità di materiali e componenti. Dopo l’armistizio, una parte in grado di muoversi confluì nel regno del Sud in collaborazione con gli alleati, mentre i tedeschi ne catturarono molte, anche quelle ancora in costruzione o in allestimento, terminandole (dove possibile) e portandole all’impiego in mare, talvolta affondate in scontri navali o in porto per attacchi aerei alleati, oppure autoaffondate alla fine dagli stessi tedeschi in ritirata. A fine guerra ne erano sopravvissute 18 ancora italiane cobelligeranti insieme a 4 recuperate al nord. Molte avrebbero continuato la loro vita operativa per decenni, soggette a vari ammodernamenti, a testimonianza della qualità di concezione originaria e della versatilità di impiego. La storia di questa classe di navi può essere considerata abbastanza rappresentativa delle complesse vicende della Marina Italiana.
La realizzazione delle corvette venne assegnata a vari cantieri, con tipologie diverse di nomi:
Cantieri Cerusa di Voltri (Genova) – 4 unità con nomi di uccelli marini – es. Gabbiano, Procellaria,…
Cantieri Ansaldo di Genova – 8 unità con nomi di uccelli simili – es. Cicogna, Gru,…
Cantieri OTO di Livorno – 9 unità con nomi di mammiferi – es. Antilope, Renna,…
Cantieri Navalmeccanica di Castellammare di Stabia (Napoli) – 12 unità con nomi di insetti – es. Ape, Grillo,…
Cantieri Breda di Porto Marghera (Venezia) – 9 unità con nomi di armi – es. Baionetta, Bombarda,…
Cantieri CRDA di Monfalcone (Trieste) – 10 unità con nomi mitologici femminili – es. Minerva, Egeria,…
Cantieri CRDA S.Marco di Trieste – 8 unità con nomi mitologici femminili – Es. Driade, Chimera,…
Esempio di mimetizzazione e numero di identificazione della corvetta Driade. L'inquadratura sottolinea la differenza di proporzioni fra la prora e la poppa.
Caratteristiche delle corvette
Il profilo della nave era caratterizzato da una prora alta e marina a cui si contrapponeva una poppa molto bassa e corta. Questo abbinamento, con la presenza centrale di un’alta sovrastruttura per il ponte di comando, con dietro l’unico fumaiolo, dava all’insieme un aspetto aggressivo ma non aggraziato, eppure funzionale. La prora era rinforzata per effettuare senza danni eccessivi lo speronamento di un sommergibile. Il ponte di comando aveva sopra una controplancia aperta per controllare l’orizzonte circostante dall’alto, ideale per la lotta antisom. La poppa bassa sul mare era invece ottimale per il dispiegamento di numerose armi subacquee, mentre la tuga poppiera sosteneva le mitragliatrici binate antiaeree. L’esistenza di un solo cannone a fronte di sette bocche da fuoco antiaeree dimostrava che sul mare la minaccia prevalente proveniva ormai dal cielo. La rinuncia alle artiglierie con il relativo peso permetteva evidentemente di non compromettere la stabilità, problema che avevano invece i cacciatorpediniere italiani, bene armati ma soggetti a forte rollio e sbandamento. Le corvette esprimevano dunque scelte precise con pochi compromessi, soluzioni semplici e affidabili, avendo ormai in mente come fare la guerra al nemico con le tecnologie disponibili. Ad esempio, non c’era una centrale di tiro, gli ordini venivano dati a voce, il telemetro veniva montato al momento, le armi antiaeree venivano puntate a vista. Le notevoli armi subacquee consistevano in 8 lanciabombe capaci di lanciare ognuno una bomba da 150 chili a sessanta metri, più 2 scaricabombe a poppa aventi ognuno sei carrelli da due bombe, e 2 torpedini da rimorchio. In totale la corvetta scaricava in un passaggio sul malcapitato sommergibile dodici bombe con 1200 kg di alto esplosivo. La propulsione della corvetta era ottenuta con due motori diesel Fiat a due tempi con avviamento ad aria compressa, con la possibilità di utilizzare in alternativa due motori elettrici adatti per movimenti silenziosi durante la caccia antisommergibile. I motori elettrici erano mossi da una batteria di accumulatori, ricaricati durante la marcia diesel, ed erano in grado di fornire per due o tre ore una velocità di 6-7 nodi sufficiente a tallonare i sommergibili dell’epoca, nelle fasi più insidiose senza disturbare le apparecchiature di ricerca . Con i diesel non c’era bisogno di imbarcare acqua per le caldaie e l’approntamento al moto era molto breve. A metà velocità i motori diesel garantivano un’autonomia di oltre tremila miglia. Il rifornimento di nafta veniva effettuato in tre ore. La corvetta disponeva anche di due tubi lanciasiluri, abbastanza controversi: la limitata velocità della nave difficilmente poteva offrire le condizioni per lanci offensivi. Per il resto c’era ben poco di superfluo, anche se la completezza di dotazioni aveva portato alla fine un peso di quasi settecento tonnellate, dalle quattrocento stimate inizialmente. Se queste navi fossero giunte prima e in gran numero sulla scena avrebbero certamente conseguito maggiori risultati, per la loro efficiente rispondenza alle esigenze correnti.
Le corvette in guerra
Scorta convogli e caccia antisom (spesso collegate fra loro), con frequenti azioni di fuoco contraereo, furono le principali attività svolte dalle corvette che riuscirono a prendere parte alla guerra. In nessun caso vennero affondate in azione da attacchi aerei, a testimonianza dell’efficacia delle difese antiaeree. Riuscirono anzi ad abbattere diversi velivoli nemici. Nell’attività antisom affondarono i sommergibili Thunderbolt, Sahib, Saracen oppure svolsero degli attacchi a sommergibili nemici con esito dubbio (non confermati da parte britannica) ma col probabile effetto di aver sventato comunque la minaccia. Le cause delle perdite subite dalle corvette furono principalmente mine, siluri, bombardamenti, ovvero eventi quasi inevitabili dove qualità della nave e dell’equipaggio contavano poco. Si tenga anche conto che il personale ebbe poco tempo per conoscere e addestrarsi all’uso di navi abbastanza nuove. Alcune sarebbero state affondate dopo l’armistizio, con bandiera tedesca, in scontri navali, cioè in situazioni abbastanza diverse da quelle a cui erano destinate. In ogni caso svolsero una instancabile attività sia in guerra che dopo l’armistizio, sotto ogni bandiera.
Per conoscere le caratteristiche della classe di corvette Gabbiano, e alcuni cenni sulla storia di ognuna, è sufficiente entrare nel Database Trentoincina, consultando una qualsiasi scheda (scrivendo ad esempio “Gabbiano”) e da essa accedere alle navi della stessa classe.
Oppure clicca qui sotto:
Una lunga vita operativa
Seppure arrivate tardivamente nel conflitto, le corvette di queste classe (almeno quelle che sopravvissero) ebbero una vita abbastanza lunga e mutevole, a cominciare dall’aspetto esteriore e dalle sigle di riconoscimento. Al momento dell’entrata in servizio adottarono l’ultima mimetizzazione standard, costituita da zone irregolari scure su fondo chiaro, su cui era riportata la sigla di riconoscimento “C” seguita da un numero a due cifre. Dopo l’armistizio, fino alla fine del decennio adottarono una colorazione uniforme, su cui la sigla di riconoscimento era un acronimo del nome, ovvero due lettere che ne facevano parte. Dopo l’ingresso nella Alleanza Atlantica, venne adottato il relativo standard, con una sigla di riconoscimento “F” seguita da tre cifre. Ad esempio la corvetta Gabbiano, nata con sigla C 11, fu poi contrassegnata con GB, e infine con F 571.
Per quanto riguarda le caratteristiche fisiche delle unità le modifiche furono estese e sostanziali, a cominciare da subito dopo l’armistizio. Questa sequenza di interventi era inevitabile sia per la scarsità di spazio a bordo, che non concedeva alternative nei cambiamenti di impiego, sia per l’introduzione di innovazioni tecnologiche degli alleati, sia per il mutamento del teatro mediterraneo. Dall’installazione del radar all’eliminazione dei motori elettrici (i sommergibili divenivano più veloci in immersione), le corvette nel dopoguerra avrebbero sopportato frequenti lavori, mutamenti d’aspetto e di ruolo, accompagnando la crescita di varie generazioni di uomini di mare. Molte furono infatti destinate alla Scuola Comando.
Ragazzi di nemmeno 18 anni che stanno per andare in guerra sulle corvette e alcuni di loro saranno feriti. Pola 1942. Nastasi è il primo a sinistra.
Ricordi delle corvette
Emanuele Nastasi, nato il 6 agosto 1925, aveva solo 18 anni ed era imbarcato come sottocapo cannoniere su una corvetta della classe Gabbiano, probabilmente sulla corvetta Cicogna, che il 14 aprile 1943 presso Trapani affondò il sommergibile britannico Thunderbolt. In quei giorni la corvetta subì un attacco aereo, forse vicino a Messina. L’esplosione di una bomba ferì e uccise alcuni marinai. Emanuele fu gravemente ferito alla testa e dopo le prime cure venne trasportato in ospedale, dove rimase a lungo senza conoscenza. Emanuele Nastasi partecipò a molte missioni, e fu imbarcato anche sulla corvetta Sfinge, congedandosi nel 1945. Per le sue azioni di guerra ebbe delle decorazioni al merito. Nel 1950 emigrò in Argentina con la famiglia. Si è spento il 23 agosto 2005 e il nipote Sebastian Nastasi ci ha gentilmente trasmesso questi frammenti di ricordi.
Nella foto di Nastasi, da sinistra a destra: Emanuele Nastasi (Paterno'), Pietro Tricami (Misterbianco), Giovanni Trovato (Giane R), Francesco Zappalá (Catania), Francesco Pavone (Catania). Annotazioni dalla fonte originale.
Sarebbe interessante ricevere dai nostri visitatori ricordi e testimonianze sulle corvette durante il conflitto mondiale.
Un interessante diario si può leggere, continuando di seguito.
Continua...
Informazioni reperibili su "Corvette e pattugliatori italiani" - Franco Bargoni e Franco Gay - Ufficio Storico della Marina Militare - Roma 2001
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