Post
  | Home |
Database |
Cerca nel sito |
Novità |
Mappa del sito |
Bibliografia |
Scrivici |Navi maschili e femminili
- Problemi di linguaggio appropriato. -
Anno 1905. Dal diario della campagna in Estremo Oriente di Guido Sansoni, ufficiale della Regia Marina. Navi maschili e femminili.
Le navi, per la gente comune e per gli uomini di Marina
Parlando di una corazzata della Regia Marina, si deve dire “la Roma” o “il Roma”?
Può sembrare un problema trascurabile, ma così non la pensano molti uomini di Marina. In effetti ci sono interessanti considerazioni da fare, come cercheremo di spiegare.
Alle persone non esperte sembrerebbe giusto dire “la Roma” al femminile, seguendo una regola valida in tutta la lingua italiana, che potremmo chiamare la “regola del sottinteso” perché si è semplicemente omesso il tipo, la corazzata, che è femminile: la (corazzata) Roma. Allo stesso modo si direbbe “il Trento” al maschile, perché è un incrociatore, che è maschile: l'(incrociatore) Trento. Insomma le navi sono sia maschili che femminili, secondo il tipo.
Invece nella Marina le navi sarebbero sempre maschili, per tradizione, come viene talvolta ricordato in articoli o commenti su riviste del settore. Si dovrebbe dire quindi “il Roma”. Ma, attenzione, quando invece il nome è preceduto dal tipo, vale il genere di quest'ultimo. Ovvero si dice “la corazzata Roma”, come farebbe qualunque altro italiano.
Come si vede c'è di che fare confusione, perché il profano legge sulla stessa pagina di un libro professionale di oggi “la corazzata Roma” e una riga sotto “il Roma” !
La “tradizione delle navi maschili” (sempre maschili quando non sono accompagnate dal tipo) sarebbe in palese conflitto con la lingua italiana della gente normale, milioni di persone con i loro sessantamila vocaboli, non solo quelli marinari, fra cui districarsi quotidianamente, anche quando non si parla di Marina. Tutti applicano la regola del sottinteso quando dicono “una Ferrari” (auto, femminile) o “il Sistina” (teatro, maschile).
La lingua italiana ha già i suoi problemi, perché in mancanza di un genere neutro (come c'era nel latino) ogni oggetto o sostantivo deve avere un genere per forza, maschile oppure femminile. Non avendo sottomano un dizionario, ci si basa su qualche regola empirica, come la lettera finale del sostantivo, “a” femminile e “o” maschile, per esempio. Così torpediniera è femminile mentre piroscafo è maschile. Tuttavia non è facile spiegare perché rimorchiatore è maschile mentre motonave è femminile, pur avendo la stessa “e” finale.
Le cose si complicano ancora di più se l'oggetto ha un nome identificativo, che è proprio quanto avviene con le navi (ogni nave è unica). Sembrerebbe prevalere il tipo di nave sul nome assegnato, ma non ne siamo sicuri: si dice “la Freccia” (conta il sostantivo, femminile) o “il Freccia” (conta il fatto che sia un cacciatorpediniere, maschile)?
Tutto ciò può sembrare banale, ma non lo è. Le incertezze, le complicazioni, le ambiguità, non piacciono a chi fa del mare una professione. Pertanto sia per dare un comando al timoniere, che per scrivere un libro, si pretendono regole precise, valide sempre senza eccezioni. Forse è per questo che è nata una regola, anche sul genere da assegnare a una nave.
A questo punto converrebbe un viaggio nel passato per capire le tradizioni e anche come gestiscono questo problema le altre Marine del mondo.
Come riferimento recente, suggeriamo l'interessante articolo “Maschile o femminile” di Renato Battista La Racine sul numero di marzo 2012 di Storia Militare, dove si cerca di chiarire il problema, anche nella sua storia.
Da tale corretta indagine ci distacchiamo con qualche considerazione.
Esempi di "regie navi" al femminile: sul berretto, sul salvagente, nella carta intestata, nei timbri, nelle comunicazioni pubbliche. Ma vi sono diversità come R.CT (Regio CacciaTorpediniere)Espero, al maschile.
Incertezze storiche e divergenze
Nella Regia Marina, nella sua breve storia dall'Unità in poi, non sembra esserci un chiaro orientamento o normativa esplicita, perché il genere è talvolta maschile o femminile, seguendo ora il tipo della nave o il nome che porta.
A questo proposito abbiamo messo in apertura della pagina immagini di un documento che lo testimonia: il manoscritto del 1905 di un ufficiale della Regia Marina in Cina, tra l'altro dotato di ottima padronanza del linguaggio.
Sui berretti dei marinai fino al secondo conflitto mondiale era anche scritto “R.N.” cioè Regia Nave, al femminile, anche per un incrociatore come il Trento. Ma c'erano anche delle eccezioni. Era forse un tentativo di uniformare e dare una tradizione, quella delle navi al femminile?
In questo ricordava l'analoga tradizione britannica (H.M.S.= His Majesty Ship = Nave di Sua Maestà”) per la quale le navi sono sopratutto navi al di là del tipo, quindi sempre femminili, una tradizione che è rimasta.
Ma in Italia durante il grande sviluppo della Marina durante il Fascismo, sembrò diffondersi nei vertici una tendenza a indicare tutte le navi al maschile, quasi per differenziarsi dalla perfida Inghilterra o per assecondare il regime nell'apprezzamento per ciò che era maschio, in particolare gli strumenti di guerra.
Certamente è meglio fare una scelta che non farla affatto, ma si trattava di un indirizzo senza chiare motivazioni logiche (perché al maschile?), forse in contrasto con l'altra tendenza di chiamarle tutte “regie navi” al femminile, e in contrasto con la lingua italiana perché non si risolveva il problema di tipologie di navi maschili e femminili (nomi partoriti dalla Marina stessa). In altre parole c'erano tutti i presupposti per un conflitto con le abitudini verbali e scritte della gente.
Oltretutto l'indirizzo non si tradusse in esplicite direttive e quindi anche nel dopoguerra molti autorevoli uomini di Marina (Iachino, Bernotti, Fioravanzo, De Courten...), scrissero molto sentendosi liberi di non seguire l'indirizzo al maschile. La Regia Marina scomparve prima che la regola delle navi al maschile si consolidasse.
Naturalmente, dopo più di mezzo secolo, la tradizione si è stabilizzata lasciandosi dietro le incertezze della genesi: in Marina Militare oggi vale la regola delle navi al maschile.
Chi si è abituato, ci tiene e può provare fastidio leggendo frequenti trasgressioni.
Tuttavia bisogna rassegnarsi al fatto che la lingua italiana e i media percorrono la loro strada e hanno anch'essi le loro regole. Francamente ci vacilla un mito: la nave come casa, patria, compagna, una entità femminile che l'uomo di mare non lascia per un profondo legame, anche nel destino più tragico. E' un luogo comune sicuramente, che ci lascia spiazzati se deve essere un oggetto maschile. Forse i comandanti non vogliono più affondare con la nave ed è anche giusto.
Per quanto ci riguarda, su un sito divulgativo che cerca di avvicinare la Regia Marina alla gente di oggi, abbiamo sempre privilegiato il linguaggio corrente, la regola del sottinteso, maschile e femminile. Non possiamo correggere tutto quello che abbiamo scritto in dieci anni e nemmeno vorremmo contraddire noi stessi. Chi fece la scelta del maschile, sapeva che non tutti avrebbero potuto seguirla.
Anno 1900. Diario dell'allievo Guido Sansoni "sul Vespucci" (al maschile) pur scrivendo "della Regia Nave Vespucci" (RN, al femminile). Notare che era il vecchio Vespucci, non quello attuale.
Linguaggio appropriato o accessibile?
Avremo perso per strada qualcuno con questo insignificante argomento, che però fa parte di un problema più vasto.
Per svolgere al meglio il proprio lavoro, ogni settore specialistico (tra cui anche la Marina) tende a sviluppare assieme alla conoscenza anche un suo linguaggio, spesso indipendente dal resto del mondo. Niente da eccepire, ma è normale che il mondo non si adegui. Questo non rappresenterebbe un grave problema perché gli specialisti hanno l'orgoglio di appartenere a un ambiente scelto, di distinguersi dalla massa e tirano dritto per la loro strada. Da una parte gli esperti e dall'altra la massa, capaci di ignorarsi a vicenda.
Questa distanza tra esperti e gente comune (in cui rientrano anche i media) si misura in una scarsa conoscenza collettiva di passato e presente della nostra Marina, un problema più grave della proprietà di linguaggio. Certo, le cause di questa distanza sono complesse, storiche e culturali, ma bisognerebbe fare qualcosa per ridurla. Alcuni pensano che la massa debba elevarsi, noi pensiamo che gli esperti debbano parlare un linguaggio più vicino alla gente, per attrarla e comunicarle conoscenza. Ci si preoccupa di dire “il Roma”, ma la massa sa cosa fu la corazzata Roma?
Per questi motivi, apprezziamo chi cura il linguaggio di settore, ma preferiamo utilizzare un linguaggio più comune.
372