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Scrivici |Shanghai
- La destinazione finale della missione in Estremo Oriente del Trento -
Shanghai 1932 - Settlement Internazionale I caratteristici edifici in stile occidentale
Shanghai nel 1932
Shanghai nel 1932 comprendeva circa tre milioni di abitanti ed era divisa in tre parti.
La Concessione Internazionale (International Settlement), formata dalla fusione nel 1863 delle concessioni inglese ed americana e molto ingrandita nel 1890. Superficie 5583 acri.
La Concessione Francese ottenuta nel 1849 e molto ingrandita nel 1924. Superficie 2585 acri.
La Shanghai dei sobborghi cinesi di Nan-tao e Chapei, separati fra loro dalle Concessioni, ma sotto un'unica amministrazione cinese.
Circa un milione e mezzo di abitanti, in massima parte cinesi risiedevano nelle Concessioni. L'intera Shanghai contava circa 49.000 stranieri (25.000 giapponesi, 9.500 inglesi, 7.500 russi, 3.000 americani, 1.500 tedeschi, 1.500 francesi, 320 italiani, 1.000 di altre nazioni). 27.000 stranieri risiedevano nella concessione Internazionale e 12.000 nella concessione francese, soltanto 100 nella Shanghai cinese.
La guerra cino-giapponese
La Cina è un immenso paese, ricco di risorse naturali ed umane. Attrae quindi da sempre nazioni che non abbiano le stesse opportunità. Oltre alle potenze occidentali, anche il Giappone era interessato ad espandersi e sfruttare i vicini territori cinesi. La Manciuria, vasta regione nord-occidentale a breve distanza dalle isole nipponiche, costituiva per il Giappone un attraente mercato per i suoi prodotti e forniva le materie prime per le sue industrie. Così erano stati impegnati sul posto capitali considerevoli, ma sul finire degli anni trenta cresceva il sentimento xenofobo delle masse cinesi sfruttate senza vantaggio, e di conseguenza si ponevano ostacoli da parte delle autorità alla penetrazione giapponese. Tensione e violenze non sembravano arginabili e in Giappone prevalsero i militari, sostenitori di una soluzione di forza. Era anche un momento favorevole, con le grandi potenze distolte dai problemi della crisi economica, mentre la Cina era divisa da lotte interne ed impegnata nei soccorsi in seguito ad una catastrofica inondazione. Dopo aver rafforzato i presidi in territorio cinese (consentiti da precedenti accordi), nel settembre 1931 cominciò l’attacco giapponese di sorpresa, con occupazione di zone chiave, ferrovie, intere regioni, con scarsa opposizione da parte delle truppe cinesi.
Anche se le potenze europee si mantenevano neutrali, l’ostilità xenofoba cinese si rivolgeva anche agli stranieri ed era comunque necessario stare all’erta e provvedere adeguata protezione ai connazionali. Questo era praticamente impossibile, con le missioni cristiane situate a troppa distanza e non raggiungibili nemmeno per via fluviale.
Dopo una stasi iniziale l’avanzata giapponese riprese. A Shanghai in seguito a incidenti relativi al boicottaggio di merci giapponesi ed uccisione di bonzi giapponesi, seguirono rappresaglie e un ultimatum da parte dell’Ammiraglio giapponese al Sindaco. Mentre convergevano su Shanghai la 19ma Armata cinese e navi da guerra e truppe giapponesi, scattarono i piani di difesa delle potenze europee per proteggere la Concessione internazionale. Si trattava dello spostamento in punti strategici di piccolissimi contingenti, data la scarsità di truppe che non potevano essere sottratte alle navi. Un attacco giapponese per occupare la zona di Chapey e la stazione ferroviaria nord incontrò una notevole resistenza da parte cinese e dovette arrestarsi.
Ne seguì un periodo di relativa calma in cui le potenze della Concessione poterono ricevere ulteriori rinforzi. Ci furono anche colpi di cannone verso le navi italiane. Al riprendere delle operazioni il 29 febbraio i giapponesi riuscirono ad occupare altre zone. In linea generale aveva stupito la capacità delle truppe cinesi, tra le migliori disponibili, di poter contenere efficacemente i giapponesi di cui era nota la capacità combattiva e lo sprezzo del pericolo.
Generale cinese a cavallo e fanteria da sbarco giapponese in combattimento a Shanghai (1932)
L'intervento dell'Italia, il Trento e L'Espero
Nel frattempo l’Italia, come altre nazioni, aveva inviato rinforzi e l’Incrociatore Trento, con a bordo truppe da sbarco del Battaglione San Marco, forzava l’andatura per raggiungere Shanghai. Aveva rifornito in navigazione il compagno di viaggio, il cacciatorpediniere Espero, per evitare soste. Nell’ultimo tratto, da Singapore a Shanghai il Trento aveva continuato da solo in linea retta alla massima velocità, mentre l’Espero ostacolato dal monsone sostò a Saigon. Il Trento arrivò a Shanghai il 4 marzo (tre giorni prima dell’Espero) nel momento in cui cessavano i combattimenti. Ma le preziose truppe vennero subito dislocate dove necessario.
Il contingente italiano effettivo era di 21 ufficiali, 20 sottufficiali, 324 marinai.
In marzo iniziarono le trattative tra Cina e Giappone per un armistizio, che non risolveva la situazione e manteneva insoddisfatta l’opinione pubblica dei due paesi. La tensione rimaneva alta, basti dire che i rappresentanti delle due parti firmarono l’accordo essendo entrambi ricoverati in ospedale per attentati.
Il 25 Aprile il Trento si recò a Nagasaki, da cui salpò il 1 maggio per tornare a Shanghai. Il 14 maggio il Trento riprendeva la rotta del ritorno, essendo ormai considerata conclusa la missione, mentre l’Espero rimaneva in Cina. Le associazioni italiane avevano consegnato all’Ammiraglio una pergamena dove il Trento era definito “la più bella tra tutte le navi da guerra straniere apparse a Shanghai”.
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